LupMorthy è un artista Milanese, musicista compositore, insegnante e amante della montagna. Prima di dedicarsi interamente alla sua musica ha suonato il basso elettrico per 20 anni, sia in tour che in studio, con diversi progetti della scena indipendente italiana. Fra le varie band ricorda in particolare le collaborazioni con artisti quali GoodMorningBoy, Songs for Ulan, Musical Buzzino e Cesare Basile, con cui ha stabilmente suonato fin dal 2003 e vinto due targhe Tenco. La musica di LupMorthy è sperimentale, dai confini che sfumano fra diversi generi, dall’elettroacustica all’ambient, dal minimalismo al field recording. Nel suo repertorio si trovano anche brani per ensemble vocali e musica da camera. Insegna teoria dei linguaggi musicali, dirige musica d’insieme e realizza progetti musicali con bambini e adolescenti. Dal 2005 coordina un laboratorio stabile di musicoterapia per bambini disabili. Si è laureato presso la Civica Classica “Claudio Abbado” di Milano in Composizione e in Didattica della Musica e ha conseguito un diploma in Musicoterapia al Centro di Artiterapie di Lecco. Oltre alla musica, a riempire la vita sensibile di LupMorthy c’è la montagna, le vie di roccia classiche in particolare. La montagna gli ha insegnato a fare un passo alla volta e, paradossalmente, a stare con i piedi per terra. LupMorthy è lo pseudonimo sotto cui si cela l’opera artistica del suo autore: Luca Recchia.

“REQUIEM FOR A TREE” è il primo lavoro organico di Lup Morthy diviso in 5 movimenti (Dust, Mud, Strings, Stones, Trees) e verrà anticipato su tutti gli stores digitali da “Strings” il 18 marzo.
Requiem for a Tree è un album strumentale di quasi 50 minuti di musica essenziale dove la microgestualità ritmica è l’elemento di continuità fra i brani, su uno sfondo comune fatto di elementi contrastanti, fra musica scritta, eseguita, e momenti di libera improvvisazione.

L’uso statico, non espressivo ed impersonale di alcuni strumenti, flauto e clarinetto in particolare, sono il mezzo musicale per interrogarsi sulla necessità di agire o meno, di fermare il tempo che scorre.

Così come in Dust, che apre l’album, c’è un bisogno che ha un’inevitabile ricaduta sulle scelte timbriche, Strings ripensa completamente l’uso del pianoforte, preparato e trasformato in qualcos’altro. Il risultato è un meticcio fra arpa e banjo, un timbro nuovo che non si piega alle volontà acustiche e simboliche di un accompagnamento romantico arpeggiato, ma che piuttosto invita alla regressione, richiamando l’attenzione dell’ascoltatore ad una gestualità infantile, massiva, non chiaramente definita e poco sicura.
In Stones usa mezzi musicali per dire che a volte le cose accadono indipendentemente dalla nostra volontà e dai nostri calcoli: è l’inversione matematica di Dust, non a caso è il brano che apre il lato B dell’LP. La sua estetica è opposta a Dust. Concettualmente il brano esiste perché esiste il suo contrario. Stones è il preambolo, l’antefatto di Trees, il brano più lungo, la sintesi formale dell’intero album, dove gli estremi si palesano e i ruoli si stravolgono: l’accompagnamento del basso, che canta, solare ed orecchiabile nelle sue linee fondamentali, diventa improvvisamente un “tema di lamento”, che passa agli archi che lo elaborano in lungo estenuante aggravarsi.
In questo passaggio è contenuta l’essenza dell’intero lavoro, la netta cesura e lo spostamento tematico creano quella linea immaginaria che è l’essenza del dualismo e suo prerequisito, che oppone la vita alla morte.

E’ una lunga dedica ad un’amico di infanzia, Federico, che ha lottato contro la malattia per interminabili lunghi anni combattendola fino alla Fine. Qui l’orchestra d’archi resiste fino a che ogni strumento, dall’estremo acuto al grave ha note sulla tastiera per essere suonate, o un filo di voce per parlare, dopo di che, a turno e in “silenzio”, se ne vanno.

Se ne andranno tutti.
E resterà solo il Rumore di fondo,
che forse è la vera essenza del nostro Essere